
San Marino avamposto del comunismo in Italia
Di Gianroberto Costa
Indipendente dal 3 settembre 301, San Marino è il più antico Stato sovrano del mondo. Nel 1951, però, la sua libertà viene messa a dura prova dall’Italia democratica, governata dalla Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi, che decide di imporre un blocco economico e commerciale. Per quasi un mese, il piccolo Titano è isolato dal resto d’Europa, soffocato economicamente dalle autorità italiane. Un’azione drastica, giustificata da Roma come una misura contro il gioco d’azzardo, ma che nella realtà si inserisce nella più ampia scacchiera della Guerra Fredda.
Ma cosa spinse l’Italia a chiudere le frontiere e a trattenere merci e lavoratori sammarinesi? Perché la Santa Sede e la stampa internazionale si interessarono al caso? E soprattutto, come vissero quei giorni gli abitanti del Titano?
IL CONTESTO: UNA REPUBBLICA COMUNISTA NEL CUORE DELL’ITALIA ATLANTICA
Nell’Europa del secondo dopoguerra, divisa tra blocco occidentale e orientale, San Marino rappresenta un’anomalia politica: nel 1945, una coalizione tra il Partito Comunista Sammarinese (PCS) e il Partito Socialista Sammarinese (PSS) prende il potere, vincendo nuovamente le elezioni nel 1949. Per l’Italia e gli Stati Uniti, l’idea di una enclave comunista all’interno della penisola è inaccettabile.
Nel 1949, il governo sammarinese decide di aprire il Kursaal, un casinò per attirare turismo e risorse economiche. La mossa è vista come un affronto dal governo italiano e dalla Chiesa cattolica: “Una struttura simile nel cuore di una Repubblica comunista potrebbe attirare traffici opachi e creare instabilità” scrive La Stampa nel 1950. La decisione di Roma è immediata: interruzione degli aiuti economici e un primo blocco dei confini, che nel 1951 diventa totale.
Il Ministro dell’Interno italiano, Mario Scelba, giustifica l’isolamento con una frase che diventerà celebre: “San Marino occupa solo l’ultimo piano di una casa il cui pianterreno è l’Italia”, lasciando intendere come Roma possa controllare i destini del Titano in qualsiasi momento.
IL BLOCCO: UNA MANOVRA ECONOMICA TRAVESTITA DA QUESTIONE MORALE
Il 17 settembre 1951, l’Italia chiude completamente le frontiere di San Marino. I lavoratori sammarinesi, abituati a spostarsi ogni giorno per lavorare in Italia, sono bloccati. Le scorte di cibo, medicine e carburante iniziano a scarseggiare. L’obiettivo del governo italiano è chiaro: piegare la Repubblica fino a costringerla a un cambio politico.
I giornali italiani sostengono la linea del governo: Il Corriere della Sera del 20 settembre scrive che “Roma non può permettere che un regime sovietico si insedi sul Titano, minacciando la stabilità nazionale”. Ma la stampa comunista insorge: l’Unità titola “San Marino sotto assedio!” e denuncia la violazione della sovranità della Repubblica.
Nel frattempo, la popolazione sammarinese si adatta alla crisi. “Le famiglie razionavano tutto, persino il pane,” ricorda Anna Pasolini, allora residente nel centro storico del Titano. “Mio padre lavorava a Rimini e non riusciva a rientrare. Per settimane non sapevamo nemmeno se fosse al sicuro”.
Il governo sammarinese reagisce con una lettera indirizzata al Ministro degli Esteri italiano, Carlo Sforza, il 25 settembre 1951: “Questo atto configura una pressione indebita sulla nostra sovranità e un’intollerabile ingerenza negli affari interni della Repubblica.” Ma Roma non risponde.
L’INTERVENTO DELLA SANTA SEDE E LA FINE DELL’ASSEDIO
A spezzare l’impasse è la Santa Sede. Il Segretario di Stato Vaticano Domenico Tardini si fa mediatore tra Roma e il Titano. Anche la stampa internazionale inizia a occuparsi della vicenda: il New York Times definisce l’azione italiana “una strategia da Guerra Fredda”, mentre Time Magazine pubblica un articolo dal titolo “San Marino: Losing Gamble”, sottolineando la fragilità economica della piccola Repubblica.
Le pressioni internazionali fanno effetto. Il 10 ottobre 1951, l’Italia annuncia la revoca del blocco. Il governo sammarinese, però, è sopravvissuto. “È stata una vittoria per noi, ma anche una lezione: non potevamo più permetterci di essere così vulnerabili,” dirà anni dopo Gino Giacomini, allora Segretario agli Esteri.
CONSEGUENZE: UN’ECO CHE RISUONA ANCORA OGGI
Dopo la crisi del 1951, San Marino capisce che non può più dipendere esclusivamente dall’Italia. Nel 1953, firma un nuovo Accordo Aggiuntivo con Roma che garantisce pagamenti regolari e una maggiore stabilità economica.
Ma la vera svolta avviene nel 1957, quando una crisi politica interna porta alla caduta del governo comunista-socialista. Questo evento, noto come i Fatti di Rovereta, segna il definitivo cambio di rotta per San Marino. Il 30 settembre 1957, un gruppo di esponenti democristiani e socialisti moderati occupa un edificio industriale a Rovereta e proclama un governo provvisorio. L’Italia, che aveva già interferito nei rapporti politici del Titano, riconosce immediatamente il nuovo esecutivo, portando alla fine del governo social-comunista e all’inevitabile allineamento della Repubblica alla sfera di influenza occidentale.

il golpe di San Marino
Nel frattempo, il governo uscente cerca di resistere con ogni mezzo: la milizia sammarinese viene mobilitata, vengono organizzati posti di blocco nel centro storico e si tenta di mantenere il controllo istituzionale. Tuttavia, senza il sostegno internazionale e con l’Italia schierata apertamente a favore dei ribelli di Rovereta, la resistenza cede nel giro di pochi giorni. “Abbiamo lottato fino all’ultimo, ma il destino era segnato,” dichiarò anni dopo un ex ufficiale della milizia sammarinese.
La crisi si conclude il 5 ottobre 1957, quando le forze lealiste si arrendono e il nuovo governo prende ufficialmente il potere. “San Marino ha dovuto perdere la sua scommessa,” scrive un cronista de La Stampa nel 1953. “Non tanto al tavolo del casinò, quanto su quello della geopolitica”.
RIFLESSIONI FINALI: UNA LEZIONE DI STORIA E SOVRANITÀ
Il blocco del 1951 è un episodio dimenticato della storia italiana e sammarinese, ma rappresenta un esempio concreto di come la Guerra Fredda abbia influenzato anche i piccoli stati. L’Italia, temendo l’instabilità politica, non esitò a usare l’arma economica per piegare un vicino scomodo.
A distanza di oltre settant’anni, la vicenda lascia aperte molte domande: quanto è accettabile che un grande stato imponga le proprie regole a un vicino più piccolo? E fino a che punto il concetto di sovranità è davvero rispettato nei rapporti internazionali?
Forse, in un mondo in cui le pressioni economiche sono ancora una leva di potere, la storia di San Marino nel 1951 ha ancora molto da insegnare.
Fonti e riferimenti storici
1. La Stampa, 1950 – “Una struttura simile nel cuore di una Repubblica comunista potrebbe attirare traffici opachi e creare instabilità.”
2. Il Corriere della Sera, 20 settembre 1951 – “Roma non può permettere che un regime sovietico si insedi sul Titano, minacciando la stabilità nazionale.”
3. l’Unità, 1951 – Titolo: “San Marino sotto assedio!”
4. New York Times, 1951 – “L’azione italiana rappresenta una strategia da Guerra Fredda.”
5. Time Magazine, 1951 – Articolo: “San Marino: Losing Gamble”
6. Ministero dell’Interno Italiano, 1951 – Dichiarazione del Ministro Mario Scelba: “San Marino occupa solo l’ultimo piano di una casa il cui pianterreno è l’Italia.”
7. Gino Giacomini, 1951 – Lettera al Ministro degli Esteri Italiano Carlo Sforza, 25 settembre 1951: “Questo atto configura una pressione indebita sulla nostra sovranità e un’intollerabile ingerenza negli affari interni della Repubblica.”
Archivi di Stato di San Marino
8. Testimonianza di Anna Pasolini, residente a San Marino nel 1951 – “Le famiglie razionavano tutto, persino il pane. Mio padre lavorava a Rimini e non riusciva a rientrare.”
9. Testimonianza di un ex ufficiale della milizia sammarinese, 1957 – “Abbiamo lottato fino all’ultimo, ma il destino era segnato.”
10. Trattati Italo-Sammarinesi, 1953 – Accordo Aggiuntivo tra Italia e San Marino per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche.